IL GIORNO DELLA MEMORIA |
CHI FU “PERSONA” NELLA SHOAH
Oggi, 27 gennaio, è il “Giorno della Memoria” la ricorrenza istituita dal Parlamento italiano (legge n. 211/2000) per ricordare l’olocausto, per ricordare la “shoah” (una parola ebraica che significa “distruzione”), lo sterminio di un intero popolo per mano dei nazisti e dei loro alleati fascisti.
E’ quella del ricordo una scelta condivisa da molti altri Paesi dell’Unione Europea e del mondo, anche a seguito della risoluzione dell’ONU del 1 novembre 2005. Lo scopo della ricorrenza è quello di conservare vivido il ricordo di quel tragico periodo, di averne sempiterna coscienza perché non si abbia più a ripetere.
Il giorno scelto, il 27 gennaio, è anch’esso simbolico perché in quel giorno del 1945 l’Armata Rossa entro nel campo di sterminio di Auschwitz scoprendone gli orrori.
Ad Auschwitz venne deportato anche Primo Levi, partigiano ed antifascista torinese, ebreo; catturato dei nazifascisti vi fu trasferito dal campo di concentramento di Fossoli, vicino a Carpi (MO) -si, anche noi italiani avevamo i nostri lager-, nella primavera del 1944. Levi sopravisse fortunosamente fino alla liberazione, salvandosi grazie alla sua laurea in chimica (ed al fatto che aveva studiato su di un testo di chimica tedesco), cosa che lo rese un prigioniero “speciale”, con funzioni di rilievo nell’impianto chimico di Buna-Werke, garantendogli così una migliore razione di cibo e preservandolo dai lavori pesanti e dal terribile freddo dell’inverno polacco.
Ma Primo Levi non poté essere preservato al vedere, dal sentire, dal respirare l’orrore che ogni giorno, ogni ora della sua prigionia si svolgeva attorno a lui. E che poi raccontò in un libro terribile e bellissimo, in quello che personalmente considero il suo capolavoro, “Se questo e un uomo”, scritto subito dopo la liberazione ed il rientro in Italia.
Quel libro (che tutti, almeno una volta, dovrebbero leggere) è come un documentario di quello che Levi vide, non contiene quasi mai giudizi sui persecutori, ma è un’opera di testimonianza. Il che lo rende ancora più tragico e sconvolgente.
Poche cose mi hanno colpito più della lettura di quel libro; penso di poter dire che nella mia vita c’é stato un “prima”, prima di averlo letto, ed un “dopo”. Dopo, il mio modo di pensare, di agire, di ragionare è cambiato. Senza quel libro io sarei stato, non ho dubbi, un uomo diverso.
Il nazismo fu un fenomeno complesso ed ancora oggi, per certi versi, inspiegabile. Fu come una “religione” infernale che riuscì a scatenare i peggiori istinti degli esseri umani, la parte più ferina che è in ogni individuo, tale da renderlo spietato verso i propri nemici e magari, al tempo stesso, un padre od una madre amorevoli e protettivi verso i propri figli, senza che questa abissale contraddizione producesse un qualche effetto.
Naturalmente vi fu chi, nel trovarsi a dover scegliere fra il bene ed il male, anche senza averne piena consapevolezza, scelse d’istinto il bene. A rischio della propria vita.
Lo fecero gli avversari dei nazisti ma anche appartenenti alla “razza eletta”, così come fra i fascisti: tutti conosciamo la storia di Oskar Schindler (resa memorabile dal film-capolavoro di Steven Spielberg “Schindler’s list”), un industriale iscritto al Partito Nazionalsocialista tedesco, che alla prova dei fatti salvo più di 1.200 ebrei, “comprandoli” uno per uno (fino a ridursi in miseria) dai responsabili dei campi dove erano detenuti o quella di Giorgio Perlasca, fascista italiano che, trovandosi a Budapest nel 1942 mentre il filonazisti ungheresi rastrellavano gli ebrei, si finse Console di Spagna, salvandone oltre 5.000, fornendo loro falsi documenti spagnoli, rispettati dai nazisti perché all’epoca la Spagna, benché neutrale, era governata dal dittatore filo-fascista Francisco Franco.
E come loro, come Perlasca e Schindler, vi furono centinaia, migliaia di uomini e donne -spesso rimasti ignoti- che si prodigarono per aiutare il popolo d’Israele, nascondendolo nelle loro case, nei conventi, nelle chiese, agevolando la loro fuga ed in mille altri modi.
Il bene ed il male sono dentro ogni persona e scegliere l’uno o l’altro spesso dipende dalle circostanze di contesto, non solo dalla nostra cultura o dagli insegnamenti che abbiamo ricevuto.
Il nazismo rendeva facile, più conveniente ed anche legittimo scegliere il male. E’ quella “banalità del male” di cui ha parlato Hannah Arendt nei memorabili resoconti del processo ad Adolf Eichmann. Ecco perché tante persone (che in altre condizioni non lo avrebbero fatto) allora abbracciarono quella ideologia di morte.
A spingerli anche la scientifica propaganda nazista che dipingeva gli ebrei come esseri inferiori, corruttori della purezza ariana, parassiti, sub-umani indegni di vivere; questo giustificava ogni sopruso, ogni violenza nei loro confronti. Così l’ingresso nei campi di sterminio (lo evidenza magistralmente Primo Levi nel libro che ho citato) di ogni nuovo prigioniero prevedeva anzitutto la sua distruzione psicologica, l’abbandono e l’accettazione ad un destino di morte. Contribuivano le regole, spesso insensate, la privazione del cibo (sempre insufficiente alle necessità vitali), le violenze continue, il freddo, l’assenza di qualunque intimità, la nulla igiene personale, le nudità spesso esposte agli aguzzini.
Prima di togliere la vita ai deportati i nazisti dovevano togliergli ogni dignità. Prima di schiantarne il fisico, dovevano spezzarne la psiche.
Le fotografie dei campi di sterminio ci rendono le immagini di nazisti orgogliosi nelle loro belle divise, ritti su lucidi stivali, ed attorno a loro un brulicare di esseri denutriti, malati, pieni di pidocchi, con il corpo cosparso di piaghe, tremanti per il freddo o la febbre tifoide.
E si vede bene nei sorrisi delle SS, nei loro occhi, la contentezza di non essere come quei loro tristi prigionieri, di essere una “razza” superiore.
Eppure quelle larve umane emaciate e sofferenti, che ad un passo dalla morte ancora lottano, sono persone. Per quello che possono, per quanto le circostanze consentono, ma sono persone.
Gli altri, le SS fiere nelle loro linde divise, con i guanti di pelle nera e le decorazioni appuntate sul petto, persone non lo sono, forse lo erano prima di vestire quelle divise, ma ora non lo sono più. Hanno venduto al diavolo la loro umanità, e sono persi. Irrimediabilmente.
Che lo si sappia. Perché l’umanità non è vaccinata dall’odio razziale, perché dopo Auschwitz molti altri campi di sterminio sono stati aperti in altri luoghi (dalle steppe siberiane all’America latina, fino nei Balcani, alle porte della civile Europa) ed ancora se ne aprono, perché la battaglia fra il bene ed il male, fra la luce e le tenebre, si combatte ogni giorno e riguarda anche ciascuno di noi.
Roberto Orlandi
presidente Collegio Nazionale degli Agrotecnici
e degli Agrotecnici laureati